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Riconciliati con circostanze in mutamento: missionari e COVID-19 in Europa

Vista Magazine 36
1. Riconciliazione e Coronavirus
2. Riconciliati con circostanze in mutamento: missionari e COVID-19 in Europa

Le restrizioni del COVID-19 causano delle sfide per i missionari in Europa e nel mondo intero. Alla fine del mese di aprile, gli editori di Vista hanno chiesto a Darrell Jackson di sviluppare un questionario per esplorare la risposta di due agenzie missionarie europee: European Christian Mission (ECM) e Greater Europe Mission (GEM). Sono stati invitati a riempire un sondaggio online di dieci domande tra il 29 aprile e il 3 maggio. Quando il sondaggio fu concluso, un totale di 145 risposte sono state radunate, 56 da ECM e 86 da GEM.

Il rapporto completo di 43 pagine sarà pubblicato prossimamente. Ciò che segue è una sintesi di certi dati e racconti emersi nelle risposte offerte.

“Andare via? Noi rimaniamo. Questo paese è la nostra casa!”

La prima domanda era aperta ed esplorava i fattori considerati dai missionari per quanto riguarda la decisione di rimanere o tornare.

Approssimativamente 93% sono rimasti nel loro paese di ministero con appena undici famiglie missionarie tornando nel paese d’invio, spesso per un matrimonio di famiglia. Certi missionari erano già in viaggio nel paese d’invio e quindi nell’impossibilità di tornare nel paese di servizio dopo le restrizioni di viaggio. Comunemente, ci è stato detto: “Non abbiamo neanche considerato tornare, questa è la nostra casa”.

Le considerazioni si dividevano in cinque categorie: considerazioni personali, tali la necessità di partecipare ad un matrimonio nella famiglia o curarsi di familiari anziani; considerazioni pratiche, quali il provvedimento dell’assistenza sanitaria, i fattori di viaggio o di rimpatrio, l’alloggio, il sostegno finanziario o l’impatto sull’educazione dei bambini; considerazioni vocazionali, come rappresentate con varie frasi quali ‘il coronavirus non cambia la nostra chiamata’, considerazioni missionarie, l’effetto che una partenza avrebbe sul loro ministero o sulla loro testimonianza; e considerazioni spirituali, perché senza la sollecitazione dello Spirito di Dio, si sentivano chiamati a rimanere.

Le restrizioni di viaggio, o la loro minaccia imminente, fu dietro alle decisioni di tornare a casa per ragioni familiari, per la mobilitazione di fondi o per i volontari in collocamenti a breve termine

La nostra seconda domanda chiedeva quali ragioni spiegavano al meglio le decisioni di tornare nel paese d’invio/a casa. Soli 22 dei 145 rispondenti (15%) erano nel loro paese d’invio quando li abbiamo intervistati. Fra questi, circa la metà era in viaggio nel paese d’invio e quindi nell’impossibilità di tornare a causa delle restrizioni di viaggio. Sei altri rispondenti hanno segnalato che dei problemi di salute avevano indotto il loro ritorno nel paese d’invio. Cinque fronteggiavano un rallentamento del sostegno finanziario ed erano tornati per aumentare il loro sostegno. La maggioranza dei missionari a breve termine erano tornati a casa.

Quando un ritorno nel paese d’invio era considerato, un paragone dei sistemi sanitari rispettivi era il fattore più spesso citato nella decisione di rimanere nel paese di servizio.

Una terza domanda chiedeva quale sarebbe l’unica considerazione più importante se il rispondente dovesse considerare un ritorno nel paese d’invio. La risposta più ricorrente era il timore di un assistenza sanitaria inadeguata nel paese di servizio, specialmente se i missionari hanno una debole resistenza all’infezione o ad altri rischi di salute preesistenti, seguito dalle indicazioni delle agenzie d’invio, il bisogno di aumentare i livelli di sostegno, e le restrizioni imminenti sui viaggi.

“Qui è la nostra casa; dobbiamo semplicemente rimanere qui!”

La domanda 4 esplorava le ragioni di rimanere. La considerazione più menzionata era il sentimento del missionario che il paese di servizio era la loro ‘casa’ (66%) e che sentivano semplicemente che era importante di rimanere (64%). La qualità del sistema sanitario nel paese di servizio aveva una classifica quasi alla pari delle prime due (60%). Certi menzionavano ugualmente una cittadinanza multipla (17%) e non sapevano dove altro andare.

Il servizio missionario in Europa non era considerato diversamente dal servizio missionario altrove, anche se ci sono vantaggi pratici a servire in paesi relativamente prosperi.

Una quinta domanda aveva chiesto ai missionari di indicare quale considerazione fu la più importante. La maggioranza riaffermava il senso che il paese di servizio era la loro ‘casa’ e quindi che era importante rimanervi.

Delle opportunità creative per la diffusione online sono accompagnate da opportunità crescenti fra i vicini immediati e i circoli d’amici

La domanda sei chiedeva: “Pensate che ci sia qualcosa di unico sul fatto di essere un missionario in Europa che abbia avuto un influenza sulla vostra decisione?” La maggioranza dei rispondenti (28%) ha detto che non c’era niente di unico sul servizio missionario in Europa che influenzava le loro decisioni. Circa 23% hanno affermato la loro visione che la chiamata e la vocazione viene prima di ogni altra cosa: “La chiamata di Dio è una chiamata per rimanere”. Fra i vantaggi attraendo a servire in Europa, i missionari hanno notevolmente menzionato che questi comprendevano ‘un buon sistema sanitario’ (28%) e delle condizioni sociali stabili e sicure (14%).

Quando furono chiesti sul modo in cui il loro servizio missionario era stato toccato, il 34% sottolineava l’adozione rapida di mezzi online per coinvolgersi nel ministero e nella missione, suggerendo una comunità missionaria fortemente adattabile. Certi riportavano che “questo ci ha reso infatti più collegati”, anche se qualcuno non concordava, suggerendo “che c’è semplicemente così tanto che si può fare online per costruire la comunità”. Indubbiamente, l’ampiezza con la quale la tecnologia è considerata come aiutando o ostacolando è determinata dalla forma di ministero, dalle circostanze personali o dalla personalità individuale. Qualcuno aveva nettamente delle difficoltà con le nuove tecnologie. 

Poco meno di un terzo (31%) sottolineava che le restrizioni avevano dato il via alla ‘creatività’ o a ‘nuove opportunità’. Certi evidenziavano un nuovo senso di solidarietà con i vicini, o che la missione era diventata più locale, mentre altri parlavano di nuove possibilità per la diffusione. Invece, un piccolo numero, benché non insignificante (16%), ha visto il ministero chiudere, specialmente i ministeri usando dei missionari a breve termine.

Quattro temi emersero frequentemente nelle risposte:

Nuove tecnologie di comunicazione forzavano i missionari a “pensare in maniera originale”. Come un rispondente diceva: “Questo ci aiuta a pensare in modo più creativo sul modo in cui serviamo la gente.” Se una parola sintetizza questo cambiamento, è la parola ‘Zoom’!

Nuove opportunità sono state osservate da tanti. Certi sentivano una fiducia crescente nella rilevanza di un vangelo di speranza. Nuove connessioni con i vicini includevano i missionari ‘facendo la spesa per i vicini più anziani’ o ‘facendo il lavoro nel giardino’ per loro. La missione è diventata più locale, mentre il contatto a distanza era mantenuto con l’uso crescente di cartoline e, in un caso, “la redazione di riflessioni quotidiane sui salmi per i vicini e gli amici.” Tuttavia, certi osservavano che i contatti con le persone che erano nella periferia della chiesa sono stati persi.

Nuove pressioni cioè che certi vivevano una “transizione terribilmente difficile” di adottare le nuove tecnologie. Certi rispondenti notavano ‘la fatica Zoom’ o ‘la fatica dello schermo’ mentre altri sentivano la tensione della disconnessione, il peso dell’istruzione a casa, o la necessità di equilibrare le aspettative crescenti del ministero con le esigenze familiare aggiunte ; “le finestre di tolleranza sono di certo più ridotte.”

Nuove restrizioni erano spesso menzionate: comprese le restrizioni sugli incontri, i viaggi, la partecipazione a conferenze, le attività didattiche, offrire un ministero faccia a faccia, visite di case, o l’evangelismo di strada. Certi prendevano chiaramente queste restrizioni con leggerezza, suggerendo “che non c’è restrizione, solo nuovi modi di servire”. Un missionario parlava invece della sua esperienza come paragonabile a “vivere in uno stato di polizia.”

Con preghiere e letture della Bibbia più frequenti, e più tempo libero, i missionari sono stati capaci di riflettere più in profondezza sulla teologia di ciò che fanno da missionari

Una domanda finale che invitava riflessioni aperte su ogni altra cosa che si manifestava per il missionario, ha suscitato certe risposte singolari e molto ricche.

Pratiche devozionali Tanti missionari dicevano che “pregavano con una nuova intensità e frequenza”, certi avevano iniziato delle “passeggiate di preghiera”, mentre altri descrivevano “trarre dalla Parola di Dio” accompagnato da un nuovo senso d’urgenza e di obiettivo.

Questioni teologiche Un missionario descriveva avere il tempo per “una vera riflessione teologica e missiologica.” Il frutto di una tale riflessione sembra aver generato domande quali se questo “significherà che più persone fra di noi andranno a casa e si focalizzeranno per educare degli operai di prima cultura?” Altri si meravigliavano del fatto “che ci è voluto la chiusura delle porte di chiese per attrarre tante nuove persone nella chiesa.” Qualcuno suggeriva che “la pandemia ha forzato tutte le chiese a fermare le attività consuete…tanti pensano al modo in cui le cose possono cambiare e cambieranno” da quando le restrizioni saranno levate.

Preoccupazioni pastorali Una serie di risposte sottolineava l’esperienza di un missionario che era riuscito a “capirne di più sulla teologia della sofferenza e sulla fede in tempo di crisi”. Per certe persone, questo ha incitato un livello di ricerca del cuore; “La tendenza già preoccupante all’esaurimento e al superlavoro fra i missionari è diventata ancora più acuta. La proliferazione di riunioni supplementari e la creazione di contenuto possono essere basate su un desiderio autentico di curarsi degli altri in questi tempi difficili. O forse sarà che tanti di noi troviamo il nostro valore in ciò che possiamo dire di aver fatto a chi ci sostiene.” Altri aggiungono che “tanti missionari sentivano che se non sono attivi facendo e dirigendo le cose, tante cose crolleranno.”

Certi hanno sperimentato le restrizioni come una reclusione: “Avessi saputo che non si poteva uscire e camminare per 7-8 settimane, sarei tornato a casa.” Certi si sentivano sotto pressione “di applaudire i lavoratori sanitari” e che “sentirsi dire di rimanere a casa” era vissuto come “una perdita delle libertà civili”.

I sentimenti d’isolamento erano pure descritti da certi: “Abbiamo difficoltà di avere una comunicazione adeguata o frequente con i colleghi nazionali o con la famiglia nel paese. Prendiamo il ruolo di badanti virtuali, ma abbiamo bisogno di cura anche noi.”

Il futuro della missione in Europa è una ‘nuova normalità’?

Le risposte offerte qui suggeriscono certamente che il COVID-19 ha stimolato e accelerato le pratiche innovativi e creative. Che queste puntino verso un nuovo futuro è fuori dallo scopo di un articolo d’informazione. La speculazione è un atto profetico e visionario, ma gli sguardi sul futuro sono tuttavia considerati nelle nostre risposte al sondaggio.

Come abbiamo radunato risposte frammentarie da circa 150 missionari servendo in Europa, rimaniamo consapevoli che un nuovo racconto sarà necessario quando i missionari torneranno alla nuova ‘normalità’; dei racconti che definiscono la forma della missione di Dio in Europa, la natura della missione, il ruolo del missionario, il carattere del missionario, la chiamata e la crisi missionaria, e la vulnerabilità missionaria.

Il fatto che i missionari servendo in Europa considerino consistentemente il loro terreno come ‘casa’ non dovrebbe essere visto necessariamente come unico dai missionari, ma è forse meno comunemente visto in questo modo dai missionari servendo altrove nel mondo. Questo fattore merita un’ulteriore inchiesta. Forse il linguaggio di ‘vantaggi’ invece di ‘unico’ è una spiegazione migliore della ragione per i missionari che rimangono.

Siamo umani, vivendo in circostanze storiche, ma Dio è sovrano oltre ogni cosa e questi tempi passeranno. Un vangelo di speranza per un mondo post-COVID può essere plasmato solo in tempi come questi.

Darrell Jackson e Jim Memory

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