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Nazioni diventando qualcosa di più: prospettiva europea

Sentiamo spesso degli argomenti cristiani mischiati con i discorsi politici nazionalisti. In questo articolo, Ineta Lansdovne, da lettone cresciuta nell’Unione sovietica, esprime la sua opinione sulla questione.

da peaceroads.com

Mentre ero seduta nella Lähetyskirkko ad Helsinki, un’antica chiesa con un sentimento molto contemporaneo ed accogliente, ero attratta dalla vetrata con una mappa del mondo. Inquadrata in un modello fiorito, sembrava bella ma piccola ed in un certo modo fragile, come queste immagini stupende provenienti dallo spazio che mi fanno pensare al fatto che “il mondo è nelle Sue mani”.

Anche se il mondo e i continenti possono sembrare monolitici, non lo sono quando zoomiamo e quando i confini vengono alla nostra attenzione. Mentre guardavo all’Europa, i miei pensieri si riportavano su queste mappe interattive che mostrano come i confini delle nazioni europee hanno cambiato nel corso dei millenni, dei secoli, dei decenni e delle annate. Con tanto…troppo sangue versato combattendo su queste terre ed intorno ai confini. E la Lettonia, questo piccolo angolo del Mar Baltico, ha sofferto sotto tanti venti potenti e cambianti della storia.

Mi trovavo qui, ad Helsinki, partecipando al Forum sullo stato dell’Europa, che si focalizzava sulle sfide europee attuali ed anche sulle opportunità per delle soluzioni creative. Dei responsabili cristiani provenienti da vari sfondi, dalle arti, dalla chiesa, dal governo, dalla politica, dal mondo scientifico, accademico, degli affari, dell’educazione, del lavoro ambientale, ecc., si sono radunati con un agenda per esplorare le domande difficili ed importanti. Il Forum sullo stato dell’Europa era inquadrato nelle premesse delle “origini ampiamente cristiane del movimento europeo, e della responsabilità cristiana continua per plasmare il futuro dell’Europa.” La questione sottostante era: “Perché tali radici sono importanti per il futuro?”

Una delle sessioni si focalizzava sulle tendenze attuali del nazionalismo e del populismo in crescita nelle nazioni democratiche. Quello che mi preoccupa di più, tuttavia, è quando la religione, specificamente il cristianesimo, diventa armata per legittimare idee ed azioni evidentemente autoritarie, antidemocratiche e semplicemente ingiuste. Ad esempio, il “famigerato” discorso di Crimeanel 2014, che il presidente di Russia, Vladimir Putin, diede all’occasione dell’annessione e “dell’unificazione” della Crimea con la Russia. “Tutto in Crimea parla della nostra storia e del nostro orgoglio condivisi. Questo è il luogo dell’antica Cherson, dove il Principe Vladimiro fu battezzato. La sua prodezza spirituale di adottare l’Ortodossia predeterminò la base globale della cultura, della civilizzazione e dei valori umani che uniscono i popoli di Russia, d’Ucraina e del Belarus.”

La Russia è una mira ovvia e facile per evidenziare queste tendenze, ma purtroppo, non è l’unico esempio. Succede più vicino a noi. Potrei citare varie idee simili in Occidente: nei dibattiti sulla Brexit, nelle elezioni americane, la politica della memoria ed identitaria, le politiche di migrazione e estere in altri paesi occidentali. Quindi, in ogni discussione pubblica focalizzandosi sull’influenza del cristianesimo nella storia delle nazioni europee, noi, cristiani, dobbiamo guardarci allo specchio seriamente ed attentamente ed esaminare la nostra riflessione. Perché permettiamo che la nostra fede sia armata in modi così brutti?

Di recente, ho sentito certe affermazioni che ho davvero amato. Sono state pronunciate in una tavola rotonda nella Conferenza di Riga 2019sulle “nuove potenze: plasmare le regioni o plasmare la storia?” da Simon Serfaty, un professore di scienze politiche all’Università Old Dominion di Norfolk (Virginia, Stati Uniti). Parlava delle debolezze dei sistemi autoritari e del modo in cui le nazioni “nuove” e “rinnovate”, ad esempio la Cina, la Russia e la Turchia, “vivono il loro futuro coniugandolo al passato” con un approccio revisionista. Simon Serfaty descrisse il progetto dell’Unione europea come essendo “una questione di necessità, non di scelta” e chiese al pubblico: “come, da quando e se questa necessità fosse revoluta.”

Simon Serfaty concluse: “l’ordine egemonico liberale non aveva forzato i suoi partecipanti a diventare qualcuno o qualcos’altro; aveva forzato i suoi partecipanti a diventare qualcuno o qualcosa di più.” Questa affermazione mi ha subito fatto ripensare alla mia esperienza personale di essere cresciuta nell’Unione sovietica e di vivere ora nell’Unione europea. Mi dicevo: “Appunto! L’Unione sovietica aveva cercato di plasmarci secondo qualcosa contro la nostra volontà. Invece, l’Unione europea dà a tante nazioni un’opportunità di provare a diventare qualcosa di più.”

Questo è superiore a delle nazioni semplicemente focalizzate sul loro interesse nazionalista con un atteggiamento di “Dio benedica la nostra nazione (e nessun’altra parte del mondo)!” Nella situazione mondiale attuale, sarebbe estremamente difficile difendere i valori fondamentali dell’Unione europea, quali i rispetto per la dignità e per i diritti dell’uomo, la libertà, la democrazia, lo stato di diritto, l’uguaglianza e la pace, fuori da una tale piattaforma senza precedente d’“unità nella diversità”.

Ineta Lansdovne

Per altri articoli di Ineta in inglese, visitate peaceroads.com. Per altri articoli in italiano, visitate l’archivio del Centro Schuman.

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