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Vox Pop

Il terzo tema della domanda ‘Chi parla per l’Europa?’ trattata nell’edizione 33 del periodico Vista (articolo introduttivo qui, 1o tema qui, 2o tema qui – edizione completa in inglese qui)

In quali modi lei, o la sua agenzia/chiesa, porta un contributo distinto per presentare una visione o per affrontare la missione in Europa?

Rispondendo a questa domanda, le persone intervistate hanno dimostrato un ampia gamma di metodologie e di contributi nella missione in Europa. Certi vedevano uno dei loro contributi chiavi come essendo una capacità di radunare la gente, come “una conferenza annuale radunando dei responsabili da tutto il continente” (Daniel Costanza della Comunione pentecostale europea) o “un gruppo di esperti di responsabili nazionali,” come comunicato da Raphael Anzenberger, la cui organizzazione raduna già dei responsabili da 16 paesi europei per discutere insieme sulla strategia di missione  (per maggiori informazioni: nc2p.org).

Frank Hinkelmann dell’Alleanza evangelica europea spiegava come il contributo unico dell’alleanza attrezzava le Alleanze evangeliche nazionali e le aiutava a “stabilire delle reti e dei gruppi d’interesse speciali nei loro paesi per attingere i loro compatrioti.” Altri confermavano l’enfasi sul fatto di attrezzare la gente affinché possa lavorare nella loro cultura. Ad esempio la Fondazione battista europea ha abilitato non meno di 250 persone per piantare delle chiese nella loro cultura, ed il ruolo della Fondazione è di provvedere un sostegno all’opera indigena. Approssimativamente, 15000 nuovi credenti sono segnalati come essendo il frutto di quest’iniziativa.

Altri enfatizzavano il loro ruolo creando delle collaborazioni, ed erano desiderosi di sottolineare l’autenticità di tali collaborazioni. John Gilberts di Greater Europe Mission (Missione della Grande Europa) descriveva come creavano delle collaborazioni da chiesa a chiesa e come, con 70 anni d’esperienza, “hanno un ruolo unico per radunare effettivamente le chiese americane e canadesi per i miglior ministeri sul campo in Europa.” L’elemento chiave è la capacità di Greater Europe Mission di “levigare i problemi interculturali ed aiutare entrambi i campi ad evitare le tipiche ‘asperità sulla strada’.” I rappresentanti delle chiese di migranti e dei movimenti della diaspora insistevano pure sull’importanza delle relazioni, specificamente bilaterali ed eque. Samuel Cueva, del Movimento “Misión para el Tercer Milenio” (Missione per il terzo millennio) spiegava il loro lavoro “per sviluppare dei ponti di missioni bilaterali per l’adempimento della missione di Dio in tutti i continenti, e la promozione d’una teologia di collaborazione missionaria reciproca.” Questa reciprocità era vista come essenziale ed era considerato necessaria di essere intenzionali per operare nella stessa direzione, come nel caso dei collaboratori di missioni latinoamericane in Europa, secondo gli esempi di Cueva. Con una prospettiva straniera sull’Europa, Jeff Carter sottolineava anche l’importanza del “rispetto filiale” e del “sostegno mutuale.”

Certi esempi specifici erano ugualmente dati: Richard Bromley di ICS vedeva il loro contributo distinto come “un’agenzia di frontiera spingendo sempre… stimolando la chiesa (anglicana) ad adattarsi e ad attingere fedelmente quel che è, e non quel che era.” Dr. Harvey Kwiyani, responsabile di programma di master of arts sul cristianesimo africano all’Università Liverpool Hope, spiegava come la sua focalizzazione è sul provvedimento d’una formazione interculturale ai cristiani della diaspora nel Regno Unito e attraverso l’Europa. E Joke Haaijer di OneHope vedeva la loro caratteristica come essendo “di attivare le chiese per la missione fra i bambini ed i giovani.”

Complessivamente, vediamo un’ampia gamma di contributi per presentare una visione per la missione in Europa, compreso favorire, migliorare la comunicazione, attrezzare, associarsi, stimolare, formare e mobilitare.

Scritto da Chris Drucker, Joanne Appleton e Jim Memory per Vista Magazine

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