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Il narratore della verità

Il terzo di una serie d’articoli sulla rivoluzione spirituale dietro alla caduta del comunismo trent’anni fa:

Ben prima degli eventi del picnic paneuropeo e della Via baltica, e quasi due decenni prima che i nomi di Gorbaciov, Reagan e Thatcher apparvero nei titoli mondiali, il nome d’un scrittore russo sorgeva dai gulag sovietici come voce della verità e rivelatore dell’ingiustizia.

Aleksandr Isaevič Solženicyn è accreditato di averne fatto di più di ogni altro critico per demolire la questione morale ed intellettuale a favore del comunismo. Nel 1962, quest’autore anteriormente sconosciuto pubblicò un piccolo romanzo letterario Novy Mir. La connotazione provocatrice e sovversiva di Una giornata di Ivan Denisovič provocò una sensazione nell’Unione sovietica e nel mondo intero, spingendo tanti lettori sovietici di credere all’epoca che la censura governativa era stata abolita. Questo romanzo descriveva, in un linguaggio chiaro e diretto, le ingiustizie grossolane subite quotidianamente da un semplice prigioniero, uno fra migliaia in tutti i campi segreti di lavoro in tutta l’Unione.

Nato nel 1918, appena un anno dopo la rivoluzione bolscevica, Solženicyn crebbe con una credenza fervente nel marxismo-leninismo. Servì da comandante di battaglione d’artiglieria durante la seconda guerra mondiale, ottenendo due medaglie per la sua bravura. Ma alla fine della guerra, fu arrestato per aver criticato Stalin e l’esercito sovietico in una lettera scambiata con un amico di scuola, e fu condannato a otto anni di lavoro forzato in un campo di prigionia. Una giornata di Ivan Denisovič era stato scritto sei anni dopo la sua ‘riabilitazione’, in debito verso i fantasmi dei suoi compagni prigionieri, il primo di tanti romanzi, di spettacoli, di poemi e di racconti cercando di smascherare il sistema che aveva incarcerato e assassinato milioni di persone.

Inserito nella lista nera dai censori, Solženicyn finì i suoi due grandi romanzi autobiografici: Il primo cerchio Padiglione cancro, basati rispettivamente sulle sue esperienze dei gulag e sul suo trattamento riuscito d’un cancro addominale a Tashkent. Proibiti di pubblicazione nell’Unione sovietica per il suo esame etico della società sovietica e dei reati del governo, questi furono passati in contrabbando nell’ovest dove diventarono bestseller.

Solženicyn fu bandito dagli scrittori sponsorizzati dallo stato dell’Unione, e diventò emarginato con altri scrittori indipendenti che avevano lanciato un nuovo formato di pubblicazioni clandestine chiamato samizdat: poemi, romanzi, storie e manifesti politici dattiloscritti e ciclostilate circolavano in segreto ed erano spesso mandati all’estero. Alla fine degli anni 1960, questi scrittori si svilupparono in movimento dissidente, coinvolgendo universitari, avvocati, scienziati ed ingegneri, diretti ufficiosamente dal detentore del Premio Nobel di fisica Andrej Sacharov. Avevano per obiettivo di conseguire la libertà d’espressione ed il cambiamento politico piacevole nell’Unione sovietica, ed attirarono un pubblico mondiale di lettori.

Nel 1970, il Premio Nobel di letteratura fu attribuito a Solženicyn, “per la forza etica con la quale ha proseguito le tradizioni indispensabili della letteratura russa”, attraendo una forte critica ufficiale dai sovietici come essendo “chiaramente dettato da considerazioni politiche specolativi, non da merito letterario”. Temendo di non ricevere l’autorizzazione di tornare nel suo paese, non potette viaggiare in Svezia per ricevere il suo premio.

Bandito

Tre anni più tardi, sempre in Unione sovietica, passo in contrabbando il suo capolavoro di tre volumi, Arcipelago Gulag, una protesta frontale di legittimità d’uno stato sovietico che perpetuava le incarcerazioni di massa ed il massacro di milioni di vittime innocenti, un livello uguale all’olocausto. Mentre tanti nell’Occidente cercavano la ‘distensione’ nei loro rapporti con il Cremlino, Arcipelago Gulag smontava ogni rivendicazione di superiorità morale che il comunismo aveva sui suoi nemici.

La risposta sovietica fu di spogliare Solženicyn dalla sua cittadinanza e di bandirlo verso l’occidente. Passò la maggior parte dei due decenni seguenti nel Vermont, negli Stati Uniti, prima di tornare finalmente in Russia dopo la caduta dell’Unione sovietica nel 1994.

Più tardi in vita sua, disse: “Se qualcuno mi chiedesse oggi di formulare in modo più conciso possibile la causa principale della rivoluzione disastrosa che ha inghiottito circa 60 milioni di persone del nostro popolo, non potrei esprimermi con più precisione che di ripetere (quello che ho sentito quando ero bambino dalla parte di persone anziane spiegando i grandi disastri che hanno colpito la Russia): ‘gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché tutto questo accade.’”

Il giorno in cui fu arrestato nel 1974 e piazzato in un aereo per la Germania, scriveva: “la chiave più semplice e più accessibile per la nostra liberazione auto-trascurata è questa: la non partecipazione personale alle menzogne… È la cosa più facile da fare e la più distruttrice per le menzogne. Perché quando la gente rinuncia alle menzogne, riduce la sua esistenza. Come un virus, possono sopravvivere soltanto in un organismo vivo.”

Quest’esortazione di rifiutare di vivere le menzogne sarà ripetuta vigorosamente dal drammaturgo ceco Vaclav Havel negli anni subito dopo l’esilio di Solženicyn, il quale, a sua volta, sobbolliva una rivoluzione spirituale che avrebbe finalmente scattato la Rivoluzione di Velluto.

Anche se il suo sostegno per il nazionalismo russo di Putin e la sua opposizione all’indipendenza dell’Ucraina hanno lasciato qualche punto interrogativo sulla sua eredità finale, lo smascheramento eroico di Solženicyn degli orrori del regime sovietico era vitale per la caduta del comunismo.

Jeff Fountain

Direttore Centro Schuman

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