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Quattro paradossi europei (1a parte)

Dottor Evert van de Poll espone quattro paradossi europei. Iniziamo oggi con il primo. Questo è un estratto del suo futuro libro ‘L’Europa ed il Vangelo’.

Vivere dentro e sentirsi fuori

Innanzitutto, dov’è l’Europa? Stiamo parlando d’un luogo o di qualcosa fuori dalla nostra sfera nazionale o culturale? Oppure stiamo parlando di dove siamo, di qualcosa in cui facciamo parte?

Curiosamente, tanta gente in tutto il continente riconosce di essere dentro l’Europa ma si sente, pensa ed agisce come se fosse fuori. Per loro, l’Europa inizia laddove il loro paese finisce. Anche se vivono effettivamente in Europa, sentono che l’Europa è fuori dai loro confini nazionali, come essendo un grande cerchio intorno a questi. In un modo o nell’altro, la loro mappa mentale non corrisponde alla mappa geografica fisica, secondo la quale l’Europa inizia dove sono loro, proprio all’interno del loro paese.

Questa ambiguità è tipica per gli europei. Quando parlano ‘dell’Europa’, intendono di solito il continente all’esclusione del loro paese. È un Europa fuori dalle loro mura, per così dire. ‘Gli europei’ sono gli abitanti dei paesi limitrofi che parlano lingue straniere e che hanno altri costumi. L’esempio più illuminante è quello dei britannici, che hanno una lunga tradizioni di distinguere il loro paese, le Isole britanniche, dal ‘Continente’, anche se La Manica in mezzo è larga di soli trenta chilometri. Eppure la Gran Bretagna faceva già parte dell’Impero romano, ed era parte integrante della politica e della vita culturale europea sin da allora. La posizione geografica della Gran Bretagna è sicuramente dentro l’Europa. Ma questo non impedisce tanti britannici di vedere ‘l’Europa’ come ‘il Continente’, e di considerarsi come un mondo a parte.

Questa ambiguità di vivere dentro e di sentirsi fuori è mantenuta dal fatto che l’Europa, in qualità di nazione, non esiste. Non esiste una cittadinanza europea. Le nostre carte d’identità sono nazionali.

Abbiamo di certo degli scambi commerciali con altri europei. Abbiamo degli scambi educazionali. Traduciamo i loro libri. Andiamo in vacanza nei loro paesi. Amiamo scoprire le loro città storiche, i loro parchi naturali, le loro attrazioni turistiche, i loro ristoranti ed il loro cibo. Ma anche se i controlli alle frontiere sono scomparsi nella maggior parte del continente, in un certo modo, attraversiamo ancora un confine mentale ogni volta che lasciamo il nostro territorio nazionale. Ed è in quel momento che ‘andiamo in Europa’. Inversamente, i nostri vicini, che dal nostro punto di vista sono in ‘Europa’, non si ritengono essere dentro l’Europa. Secondo loro, siamo gli europei perché siamo fuori dal loro paese.

I Cristiani non fanno eccezione in questa tendenza di pensiero dell’Europa come qualcosa fuori da ‘noi’. Le loro chiese hanno un obiettivo nazionale piuttosto che europeo. L’Europa, da campo missionario, si trova fuori dal loro paese. Ma questa è una rappresentazione sbagliata della realtà. Che ci piaccia o meno, l’Europa inizia dove viviamo. Siamo parte di questa. Ovviamente, siamo pure olandesi, francesi, tedeschi, e così via, ma allo stesso tempo, siamo europei. Questo è il nostro continente. È il nostro contesto. È qui che siamo chiamati ad essere una luce. Comunicare il Vangelo in Europa non è una ‘missione straniera’ ma una ‘missione a casa’. Inversamente, ciò che facciamo per l’avanzamento del Regno di Dio nel nostro paese è pure una ‘missione europea’.

Queste affermazioni vanno contro il grano di un’altra tendenza: dappertutto in Europa, la gente enfatizza nuovamente le identità nazionali, o le identità regionali nel caso dei fiamminghi, degli scozzesi, dei catalani e di altri. Una percentuale in crescita della popolazione teme sempre più un intensificazione dell’integrazione economica, dell’influenza amministrativa di ‘Bruxelles’, e dei tentativi di procedere verso un ‘unione più profonda’ di federazione. Tutto questo è etichettato ‘Europa’ in un senso peggiorativo. Inizialmente, le nostre nazioni volevano far parte dell’Unione europea. Ma appena ne facevano parte, si sentivano chiamate a difendere i loro interessi nazionali. Nell’estate 2016, il Regno Unito è andato fino a porre la domanda al popolo via referendum. La Gran Bretagna dovrebbe rimanere dentro l’Unione europea o lasciarla? Una maggioranza ha votato per la ‘Brexit’.

Nelle società multiculturali attuali, la maggioranza della popolazione è sempre più sensibile alle idee populistiche che capitalizzano sulla nazione, sull’eredità culturale, sul suo modo di vita e sulla tradizione. Tutto questo è legato con l’identità. Da un lato, c’è un senso d’appartenere all’Europa. Da un altro, la gente si identifica al proprio paese o alla propria regione invece di identificarsi all’Europa nel suo insieme.

Com’è la situazione con i cristiani? Fino a che punto condividono queste tendenze? La domanda deve essere fatta, tanto più che i movimenti populisti sostengono regolarmente le loro idee con una rivendicazione di ‘radici cristiane’ dell’Europa. Qual è la nostra posizione in una società multiculturale? Sono domande difficili alle quali dobbiamo rispondere.

La prima cosa da fare è di realizzare che siamo in Europa. Ne facciamo parte e la condividiamo, e ci siamo insieme con tanti altri. L’Europa non è soltanto ‘loro’, non è soltanto ‘noi’, ma è ‘noi tutti’, perché siamo tanti paesi, tante lingue, tante comunità religiose e tanti modi di vita. L’Europa non inizia dove attraverso il confine e quando provo a capire un’altra lingua. L’Europa inizia dove vivo e dove partecipo alla vita di chiesa. Sono in Europa anche quando parlo la mia lingua.

Studiare l’Europa è un buon modo di mettere le cose locali in una prospettiva più ampia. Forse questo ci aiuterà a lasciarci dietro un certo orgoglio e dei pregiudizi sciovinisti quando iniziamo ad apprezzare gli altri.

Evert Van de Poll


Professore di Studi religiosi e di Missiologia, Facoltà teologica evangelica, Lovanio, Belgio, e pastore con la Federazione battista francese.

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