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Così diversi e tanto in comune

Il secondo dei quattro paradossi discussi da Evert van de Poll. Questo è un abbozzo del suo futuro libro ‘L’Europa ed il Vangelo’. (prima parte qui)

Abbiamo in Europa un gran numero di persone e di stati nazioni che vivono separati ma insieme. Sono molto diversi gli uni dagli altri.

Non dire agli svizzeri a Zurigo che sono tedeschi, anche se parlano quasi la stessa lingua. Nel solo Regno Unito, la gente è molto consapevole di essere scozzese, inglese o gallese. Quando attraversiamo i Pirenei, possiamo essere colpiti dalla distinzione tra i catalani e quelli che chiamano gli ‘spagnoli castigliani’. I greci ed i macedoni sono vicini ma agli antipodi gli uni degli altri, cosiccome i serbi ed i croati, i polacchi ed i lituani, i fiamminghi ed i valloni, i siciliani ed i milanesi.

Pensate al numero di stati nazioni indipendenti: quarantotto in tutto. Guardate ai loro costumi diversi, ascoltate le loro lingue diverse. Eppure le chiamiamo lingue ‘europee’, come se fossero distinte da altre lingue.

Noi, europei, siamo un lotto diversificato di popoli e di stati, un lotto misto, così variato come la veste multicolore di Giuseppe. Ogni identità nazionale all’interno dei confini geografici dell’Europa ha le sue caratteristiche specifiche, senza parlare delle identità regionali che sono, in certi casi, anche più forti. Ognuna ha un sapore proprio. La nostra storia è segnata da confini, da guerre, da linee di difesa, da muri di partizione, e così via. Imperi, nazioni, gruppi di popoli hanno combattuto delle guerre aspre e si sono devastati i territori a vicenda. Anche se lo deploriamo, siamo ancora divisi intorno ad una serie infinita di questioni, specialmente quando si tratta di raggiungere l’unità economica, senza parlare dell’integrazione politica.

Tuttavia, gli europei hanno tanto in comune, rispetto ad altre regioni del mondo. Non è facile definire esattamente questo spazio comune, ma tanta gente in tutto il continente è consapevole di una specie di fondamenta che ci rende ‘europei’. Questo è ciò che chiamiamo l’idea ‘dell’Europa’, tra virgolette, un senso che tutti i vari popoli e paesi del continente sono insieme.

Questo non è un fenomeno recente. Nel passato, quando gli europei erano confrontati a culture che identificavano straniere, si sono costantemente descritti, non solo britannici, tedeschi o spagnoli, ma come ‘noi gli europei’. Francis Bacon, per esempio, usava l’espressione ‘nos Europai’, scritta nel 1623, all’epoca degli esploratori e della scoperta dei nuovi mondi. Oggi, lo stesso sentimento esiste ancora. Basta viaggiare all’estero per rendersene conto. Nell’atrio d’un albergo a Nairobi, per esempio, i turisti finlandesi, olandesi e spagnoli si riconoscono a vicenda come ‘europei’, e agli occhi della gente locale, lo sono effettivamente; sono percepiti come parte di un solo lotto.

Quando viaggiamo attraverso il continente, ci sentiamo ancora relativamente a casa. Nonostante le divergenze, le cose sembrano ragionevolmente familiari, rispetto a quel che sperimentiamo quando viaggiamo fuori dall’Europa. È in quel momento che abbiamo l’impressione di aver lasciato la ‘nostra’ zona culturale e di essere arrivati in un altro mondo culturale. Ad un livello superficiale, vediamo tante somiglianze. In un mondo globalizzato, tutti gli aeroporti e tutti i centri turistici sembrano essere gli stessi. Ma ad un livello più profondo che i turisti non possono quasi mai toccare, c’è un mondo di differenza.

Basati sul sentimento che ciò che ‘noi’, in Europa, abbiamo in comune è più grande di ciò che ci divide, esiste un ideale per lavorare insieme nella pace, ed anche andare così lontano da cercare l’unità a livello continentale.

In tutte le epoche, ci sono stati vari tentativi di raggiungere quest’ideale. L’Unione europea attuale è finora l’ultima in data, e verosimilmente, la più fruttuosa finora.

Ecco qui un secondo paradosso. Siamo diversi e divisi, eppure, allo stesso tempo, siamo collettivamente chiamati ‘europei’. In altre parole, c’è un ‘unità nella diversità’, per citare il motto ben scelto dell’Unione europea. Tuttavia, questo indica ugualmente la natura paradossale dell’Europa e l’impossibilità flagrante di creare una specie di Stati Uniti d’Europa. Questo rimarrà un sogno lontano fintantoché rimarremo così attaccati alle nostre diverse identità culturali, linguistiche e nazionali. Allo stesso tempo, non possiamo espellere il sogno, o almeno l’idea che dovremmo superare le nostre divisioni. Malgrado tutti i nostri pregiudizi nazionali, non possiamo fare a meno di sentire che siamo difatti europei. Questa è la nostra realtà paradossale, che dovremmo sempre tenere in conto quando pensiamo al futuro del nostro continente. Dovremmo imparare a vivere con questo.

Evert Van de Poll


Professore di Studi religiosi e di Missiologia, Facoltà teologica evangelica, Lovanio, Belgio, e pastore con la Federazione battista francese.

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