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Memorie comunicative attraverso tre o quattro generazioni di famiglia

Amo percorrere i foto album di mia nonna, e specialmente ricercare gli scorci visuali della sua vita prima e durante la Seconda guerra mondiale, prima e durante il regime sovietico, poi nazista, poi ancora sovietico.

Non ci sono tante foto da trovare… Prima, era una semplice famiglia d’agricoltori che non aveva tanti fotografi intorno nel loro paesino. Secondo, la guerra, la deportazione dei suoi genitori in Siberia, la confiscazione della fattoria familiare, la dispersione della famiglia in tutti gli angoli della Lettonia e della Lituania, nascosti durante gli anni del dopoguerra… Sono sbalordita di vedere che queste foto hanno sopravvissuto.

Questa foto è forse l’ultima dei miei bisnonni Jānis e Margaret (seduti in mezzo) e del loro figlio maggiore Miķelis (all’estrema sinistra), godendo della vita, della famiglia e dei loro amici nella loro fattoria di Butinge (Lituania). Questo territorio apparteneva alla Lettonia fino al 1921 e quindi, la maggioranza della popolazione locale nei territori circondanti era Lettone. Questa foto è stata scattata forse tra il 1942 ed il 1943. Nell’autunno del 1944, il loro paesino fu di nuovo ripreso dalle truppe sovietiche. Nel 1944, due dei fratelli di mia nonna, compreso Miķelis, attraversarono il mar baltico da profughi, e nel 1948, i miei bisnonni e la mia trisnonna (che aveva già oltre novant’anni) furono arrestati e deportati nella regione d’Irkutsk in Russia.

Ricevettero il permesso di tornare in Lettonia solo nel 1957, qualche anno dopo la morte di Joseph Stalin. Non potevano andare da nessuna parte siccome la loro fattoria era stata confiscata, ma soltanto traslocare da luogo a luogo per vivere con i loro bambini che, loro stessi, avevano delle difficoltà a trovare dei luoghi dove poter vivere. Inoltre, chiunque era stato deportato portava la condanna di “nemico di stato” per il resto della sua vita, rendendo ogni reinsediamento molto difficile. Erano discriminati e marcati (come con la lebbra ai tempi di Gesù) e certi Li evitavano per paura del regime.

Se seguite la scienza della memoria politica, sociale, collettiva, culturale, ecc., sarete forse familiari con il nome d’Aleida Assmann e con la sua famosa tesi sulla memoria comunicativa che è limitata nel passato recente. “Evoca le memorie personali ed autobiografiche, ed è caratterizzata da un breve termine (da 80 a 110 anni), da tre a quattro generazioni. A causa del suo carattere informale, non richiede alcuna competenza da chi la trasmette.”

Ecco la mia famiglia. Quasi 80 anni son passati da quando questa foto è stata scattata. Tre o quattro generazioni sono collegate con una memoria particolare, una storia particolare e questa storia racconta un traumatismo molto profondo. C’è la prima generazione – mia nonna, i suoi fratelli e sorelle, i suoi genitori – che l’ha sperimentato in modo personale. Spesso, se l’esperienza è stata molto traumatizzante, questa generazione diventa la generazione “silenziosa”, focalizzandosi sulla sopravvivenza. Nella nostra famiglia, si tratterebbe della generazione di mia nonna. Ma c’era uno strato di traumatismo aggiunto: nell’Unione sovietica, non erano autorizzati a parlarne. Queste memorie furono semplicemente “cancellate” dalla memoria pubblica e dalla storia ufficiale perché non corrispondevano all’ideologia del regime. Quando la memoria è repressa, non esiste alcuna opportunità di guarigione.

Poi, c’era la seconda generazione che crebbe con questi genitori “silenziosi”. Anche se mia nonna non ha mai avuto un carattere silenzioso, aveva paura di raccontare tanti dettagli del suo passato ai suoi bambini ed ai suoi nipotini, non prima che la Lettonia iniziasse a scrollarsi di dosso il regime sovietico totalitario e diventasse di nuovo un paese indipendente. All’improvviso, c’era una marea di storie. Essendo della quarta generazione in questa catena di memorie comunicative, mi rammarico di non averla fatto più domande prima che la memoria di mia nonna sia stata seriamente danneggiata dall’età avanzata e prima che mia madre morì dal cancro.

Di recente, ho avuto l’occasione di ricordarmi del modo in cui questo traumatismo affligge ancora profondamente le generazioni anziane della società lettone. Mia nonna era la persona più gioiosa e più positiva che conoscevo, ma ha iniziato a lamentarsi di incubi che non poteva ricordarsi il giorno successivo. L’unica parola che continuava a ripetere era “fango” e ‘camminare a fatica nel fango”. Una mattina, mentre trascorrevo qualche settimana da lei, si svegliò dopo un altro di quegli incubi. Stavolta però, poteva ricordarsene e me lo ha descritto con dettagli acuti.

Sognava che era stata arrestata e catturata via da casa sua, imbarcata in un camion aperto con un grande gruppo di donne (mi ha detto che non c’erano bambini e che nessuno aveva dei bagagli) ed erano portati attraverso la taiga siberiana. Quando le ho chiesto in quale periodo dell’anno si era svolto il suo sogno, mi ha risposto: “Era la fine dell’autunno. Non c’era neve per terra ma fango dappertutto. Un fango molto profondo. Il camion era spesso impantanato e dovevamo camminare a fatica attraverso questo fango. Era orribile.” E continuava a ripetere: “Ci portavano nei campi della morte, per ucciderci lì e sapevamo che questo era il nostro ultimo viaggio.”

Il fatto è… che mia nonna non è mai stata deportata (qualcuno l’aveva avvertita ed era andata a nascondersi). I suoi genitori invece erano stati deportati, cosiccome tanti dei loro vicini ed amici. Era un traumatismo collettivo che ha afflitto tante famiglie in Lettonia, in Estonia ed in Lituania. Soltanto in Lettonia, il 25 marzo 1949, circa 43000 persone furono arrestate e deportate in Siberia. Ci sono voluti 31 vagoni di treno per trasportarli in questo lungo viaggio attraverso la Russia.

Ho chiesto a mia nonna perché credeva che faceva questi incubi sui campi in Siberia anche se non è mai stata lì. La sua risposta era: “No, io non ci sono stata con i miei genitori, ma ne ho sofferto lo stesso. Ho vissuto nascosta, ho dormito nelle foreste… Erano dei tempi orribili.”

Quando credo che so qualcosa, realizzo quanto non so. Realizzo solo che ci vuole un lunghissimo tempo per guarire, ed anche all’età di 95 anni, questo traumatismo represso può ancora tormentare. E realizzo che queste memorie comunicative mi ricordano perché dobbiamo stare costantemente in guardia contro ogni tipo d’ideologia e di sistema totalitario. La sinistra, la destra, l’ateismo, il religioso, ecc. Non m’importa niente. Qualsiasi cosa che decide chi è “dentro” e chi è “fuori”, chi può vivere se ubbidisce e chi deve morire se disubbidisce. (Ho l’intenzione di scrivere un altro articolo sul modo in cui vedo il pericolo dell’inganno delle “semenze” totalitarie)

Nel frattempo, mia nonna si aggrappa saldamente su queste parole: “Egli guarisce quelli che hanno il cuore rotto e fascia le loro ferite.” (Salmo 147:3)

Ineta Lansdovne

Per altri articoli di Ineta in inglese, visitate peaceroads.com. Per altri articoli in italiano, visitate l’archivio del Centro Schuman.

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