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Cristianesimo nominale (1a parte)

Un fenomeno tipicamente europeo

Un articolo di Evert Van de Poll per il periodico Vista. (edizione 31)

Uno degli aspetti più notevoli del contesto socio-religioso d’Europa è la grande proporzione di quelli chiamati Cristiani nominali. Sono le persone che sonno affiliate ad una Chiesa e/o s’identificano ‘Cristiani’ nei sondaggi. Frequentano solo sporadicamente, o mai, una funzione religiosa, e tanti di loro non credono in un Dio personale, nonché in Gesù Cristo come unico Salvatore dell’umanità.

Nonostante l’influenza in declino della Chiesa nella società e la secolarizzazione crescente, tante persone attraverso l’Europa mantengono ancora un certo tipo di legame con la Chiesa da istituzione, o con la religione cristiana. Nella maggioranza dei paesi, questo conta per oltre il cinquanta per cento della popolazione.

Dal punto di vista della comunicazione del Vangelo e dello sviluppo della Chiesa, questo è un aspetto del contesto europeo estremamente importante. Perché in tutta la priorità missiologica di raggiungere quelli che sono completamente secolarizzati e di creare delle chiese per i non-affiliati o quelli che non vanno in chiesa, ignoriamo facilmente il fatto che la maggioranza del pubblico europeo non ha tagliato tutti i legami con la fede cristiana.

L’idea di nominalità

Per iniziare, il termine ‘nominalismo’ può essere ingannevole, siccome si riferisce ugualmente alla scuola di pensiero filosofico. Per quanto riguarda l’identità e la pratica religiosa, occorre piuttosto usare il termine ‘nominalità’

Dei termini alternativi sono ‘Cristiani culturali’, ‘teoretici’, ‘avendo lasciato la chiesa’ o ‘senza chiesa’. Nei paesi di lingua francese, il termine standard è ‘Chrétiens sociologiques’ (Cristiani sociologici), il quale ha la stessa connotazione di ‘cultural Christians’ (Cristiani culturali) in inglese. Analogamente, gli Spagnoli parlano di ‘cristianismo sociológico’ o ‘cultural’. I Tedeschi parlano di ‘Namenschristen’ (‘Cristiani di nome’) o ‘Kirchenferne’, che potrebbe essere parafrasato come membro ‘periferico’ o ‘marginale’ della Chiesa. Questo è in realtà il senso preciso del termine equivalente olandese ‘randkerkelijken’.

Qualunque sia la terminologia, c’è sempre l’idea dietro a questo, che qualcosa manca, che qualcosa non è come dovrebbe essere. E quel che viene chiamato l’idea di nominalità. Questa può essere descritta come la differenza tra l’adesione dichiarata ad una fede e l’applicazione ingaggiata a questa fede. Questa differenza può essere osservata in tutte le religioni, ma prende varie forme. ‘Il’ cristiano nominale non esiste. Nella vita reale, esistono vari modi con i quali la gente può essere in fluttuazione con l’identità cristiana che rivendica. ‘Nominale’ è un termine tecnico, usato collettivamente per una varietà di fenomeni.

Mentre gli specialisti in scienze sociali cercano d’astenersi di dare un giudizio di valore quando analizzano le forme di Cristianesimo nominale, i ricercatori in missione ed i teologi le qualificano di solito come deviazioni della normalità, in opposizione ad un’altra, forse ad una forma più vera o più autentica di Cristianesimo.

Come definire il nominale ?

Dove tracciamo esattamente la linea tra l’autentico ed il ‘di nome soltanto’? È virtualmente impossibile dare una definizione precisa di ‘cristiano nominale’ che soddisfarà tutti quelli che usano il termine. Tutto dipende dal parametro usato. Gli specialisti di scienze sociali guardano di solito alla frequenza di presenze in chiesa, ma le cose diventano complicate quando si tiene in conto altri indicatori, quali le convinzioni o la questione del ‘quanto senso ha la religione per voi’.

Nei circoli di chiesa e di missione, ‘nominale’ viene spesso definito mediante una negazione, un qualcosa che manca. ‘La gente chiamata cristiana, ma…’ Tutto dipende ovviamente da quel che viene dopo il ‘ma’. Vorrei menzionare quattro definizioni negative spesso usate:

  1.  ‘…non affiliata.’ Certe statistiche usano il parametro d’appartenenza alla chiesa. I Cristiani nominali, quindi, sono quelli che identifichiamo da Cristiani nei sondaggi o nelle conversazioni, senza avere un legame con la comunità o l’istituzione cristiana. Anche se quest’approccio ci rende attenti alle forme di fede cristiana fuori dalla Chiesa istituzionale, ignora le possibili divergenze tra l’identità cristiana e l’impegno nella chiesa.
  2. ‘…non va regolarmente in chiesa.’ Degli studi socio-religiosi usano spesso questo parametro di frequentazione ad una funzione religiosa, per distinguere tra i Cristiani nominali e praticanti. Di solito, la linea tra le due categorie viene piazzata alla media di una volta al mese. Evidentemente, quest’approccio è limitato perché l’impegno nella fede cristiana implica ben oltre la partecipazione sola alle funzioni religiose.
  3.  ‘… non convertita (non nata di nuovo).’ Nei circoli evangelici, quest’è un parametro classico. Detto in modo radicale, se una persona non è entrata nell’ovile nel modo giusto, non ha davvero il suo posto con le pecore, anche se può andare in chiesa molto spesso e comportarsi fortemente come un cristiano lo dovrebbe. Quest’approccio porta ad un discorso del ‘vero contro il nominale’ che arriva a volte fino ad implicare che i Cristiani nominali non sono davvero Cristiani. Quando la conversione viene definita in modo evangelico, questo discorso crea l’impressione che ‘vero’ vuol dire evangelico, lasciando tutto il resto della popolazione cristiana come essendo nominala, avendo il bisogno di convertirsi. Esiste anche il rischio d’atteggiamento esclusivo verso altre espressioni della fede cristiana.
  4. ‘…non ingaggiata nella vita di discepolo.’ Certi autori evangelici descrivono la nominalità in termini di superficialità, di confessione cristiana e di vita di discepolo cristiano. Quest’approccio porta ad un altro genere di discorso del ‘vero contro nominale’. Al contrario del precedente, non rinnega che i nominali possano essere dei veri cristiani avendo ottenuto la salvezza. Ma mette piuttosto l’accento sulla crescita spirituale ed un impegno a vivere la fede cristiana in modo quotidiano.

Anche se si può capire che i dirigenti di chiese sono preoccupati dalla qualità di vita cristiana fra i loro membri, esiste un rischio d’esagerare l’aspetto della santificazione della fede cristiana, a scapito d’altri aspetti. Inoltre, non pensiamo che sia giustificato di squalificare tutti quelli che non rispettano le norme di vita di discepolo come ‘nominale’ o cristiano ‘di nome soltanto’.

(La seconda parte sarà pubblicata la settimana prossima)

Evert Van de Poll


Professore di Studi religiosi e di Missiologia, Facoltà teologica evangelica, Lovanio, Belgio

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